martedì 20 febbraio 2018

Luigi Natoli: gli assedi di Roberto d'Angiò e la difesa dei baroni siciliani. Tratto da: Mastro Bertuchello.


Calato infatti Arrigo VII di Lussemburgo a coronarsi imperatore, i Ghibellini sperarono di risolvere le loro sorti. Arrigo si rivolse per aiuti a Federigo, che non aspettava di meglio per diventar capo del partito ghibellino; e intanto, per punire Roberto, che per la morte di Carlo II era salito al trono, lo dichiarò decaduto. Federigo fatto riconoscere per suo erede il piccolo Pietro, partì per la Toscana; ma la improvvisa morte di Arrigo lo fece ritornare. Questi fatti ruppero la pace. Roberto con un’armata, presa per tradimento Castellammare, andò ad assediare Trapani, ma la resistenza dei cittadini, il logoramento dell’esercito, i rigori invernali, la minaccia di essere assalito, lo persuasero a domandare una tregua; e tornò a Napoli. Federigo, appena spirata la tregua assalì e riprese Castellammare. Roberto raccolse un nuovo esercito, gli pose a capo Tomaso Marziano conte di Squillace, e lo mandò in Sicilia. Questi assediò invano Marsala difesa da Francesco Ventimiglia, e allora il conte si diede a guastare le contrade, girando per l’isola; e venuto nelle campagne di Palermo si sfogò a recidere i bei palmizi e i gelsi e ogni altra pianta, e con questa vittoria arborea si partì. Né lui né altri capitani allora cercarono di misurarsi con l’armata siciliana.
A prevenire l’offensiva che Federigo meditava, il papa Giovanni XXII si intromise per una pace più durevole, e invitò gli ambasciatori di Sicilia, d’Aragona e di Napoli ad Avignone, allora sede pontificia. Vi andarono quelli di Sicilia, ma non quelli di Napoli, e così tutto sfumò. Avendo intanto Federigo aiutato i fuoriusciti Ghibellini di Genova sotto i Guelfi, che protetti da Roberto, s’erano impadroniti della repubblica, e fatto coronare re il principe Pietro, il che era contro la pace di Caltabellotta, il Papa, che stava per l’Angioino, ne prese pretesto per scomunicare Federigo, colpire la Sicilia d’interdetto, e riprendere la quistione del titolo di “re di Sicilia” che Federigo aveva riassunto. Riarse la guerra, e Roberto allestita una flotta di centotredici galere, di cui trenta genovesi, col figlio duca di Calabria e il fior dei baroni, lo mandò in Sicilia. Il 26 maggio 1325 il nemico sbarcò nelle campagne di Palermo: s’accampò sotto le mura, distrusse il parco della Cuba, depredando e bruciando, e poi diede l’assalto. La città era difesa da Giovanni Chiaramonte, detto poi il Vecchio, che aveva con sé, tra i baroni, Matteo Sclafano, Nicolò ed Enrico Abate, Giovanni Calvello, Simone Esculo e tutti i cittadini animosi. Per tre giorni con ogni macchina e strumento di guerra Genovesi e Napoletani si travagliarono in assalti, in punti diversi; e per tre giorni furono con gravi perdite ributtati. E si vide in quei frangenti il vecchio Chiaramonte, gottoso, farsi trasportare su una sedia qua e là sulle mura, dove maggiore era il pericolo, a incoraggiare e dirigere la difesa. Allora rinunziando agli assalti, il nemico cinse la città d’assedio, sperando prenderla per fame: ma la notizia che sopravveniva a gran giornate Giovanni Chiaramonte il giovane con altri baroni e buon nerbo di cavalli e di fanti, persuase il duca di Calabria e gli altri capitani a togliere l’assedio, e a contentarsi di dare il guasto alle campagne...



Luigi Natoli: Mastro Bertuchello. 
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