A
nessun componimento della nostra letteratura popolare è toccata la sorte di
avere tanti e così diligenti illustratori e imitatori, come a quel tragico
poemetto, che corre sotto il nome di Baronessa
o Principessa di Carini; al quale l’orrore del fatto, unico forse nella
letteratura del popolo, la pietà verso la vittima, il grado e la notorietà dei
personaggi e sopra tutto la incomparabile bellezza della forma rappresentativa
conferirono una meritata celebrità.
Il
fatto tramandato dalla tradizione è questo: un principe di Carini uccise la
figlia, perché si amoreggiava celatamente con un giovane; la figlia, fuggita di
stanza in stanza, cadendo ferita, appoggiò la mano insanguinata sopra una
parete, e vi lasciò una impronta, che nessuna calce potè mai cancellare....
Fra
i documenti il più antico, vera testimonianza storica, è la breve notizia del
diario di Nicolò Palmerino e Filippo Paruta; notizia troppo semplice e
indeterminata, per dar luce all’avvenimento; e che non consente alcuna seria
argomentazione in favore dei particolari della leggenda. La notizia dice con
esattezza cronologica: “1563, Sabato a 4
di dicembre. Successe il caso della signora di Carini. “Caso” nelle
cronache e nella dizione di quei tempi adoperarono i nostri scrittori nel significato
di grande e straordinario avvenimento, con uccisione e morte di persone: “Caso
di Sciacca” si disse la lotta civile che insanguinò quella città nel secolo
XVI; “Caso di Del Carretto” o “di Castronovo” una strepitosa vendetta presa da
un conte Del Carretto sopra alcuni di casa Barresi.
Il
nome della vittima, “Caterina”, in documenti, appare soltanto nelle
notizie raccolte dall’Auria, la cui vita letteraria cominciò nel 1648; e che
scrisse o trascrisse le sue notizie, quando già correvano strofe del poemetto
col nome della supposta eroina.
Sulla
scorta delle due note dei cronisti e con la guida del poemetto, il
Salamone-Marino si pose con diligenza a frugare gli archivi di casa La Grua e
di casa Vernagallo, e le sue ricerche furono o parvero coronate da lieto
successo. Egli infatti trovò che nel 1563 era barone di Carini don Vincenzo La
Grua e Talamanca, il quale dalla moglie, donna Laura Lanza dei baroni della
Trabia, sposata nel 1543, aveva avuto otto figlioli; secondogenita dei quali
Caterina, che all’epoca della tragedia avrebbe avuto intorno ai diciotto anni.
Trovò ancora che da Ludovico Vernagallo, sposo di Elisabetta La Grua, zia di
don Vincenzo, nacquero sette figli (nove secondo il Mugnoz) dei quali Vincenzo,
partito da Palermo, morì nel 1582 a Madrid; dove, vestito l’abito di frate
carmelitano, era stato assunto all’ufficio di confessore del re.
Tanta
ricchezza di particolari, l’identità dei nomi, le corrispondenze fra alcune
parti del poemetto raccolte dalla bocca del popolo, e i dati forniti dai
documenti trovati negli archivii, produssero una lieta e viva impressione; e
così il testo del poema, come la dolorosa storia della bella figlia di Vincenzo
La Grua passarono intatti e indiscussi nella comune accettazione.
Se non
che negli ozi letterari così mali consiglieri, la mente curiosa, ripiegandosi
sul lavoro altrui, si esercita a verificare, riscontrare, giudicare: e allora
cominciano ad affacciarsi i dubbii; che invece di vanire, diventano più
consistenti; l’edificio con tanta pazienza e con tanta ingegnosità costruito
dall’erudito raccoglitore della leggenda, comincia ad apparire non così solido
come si riteneva. I primi dubbi non si riferirono all’autenticità del poemetto,
ma alla autenticità dei personaggi: il Pitrè infatti, ristampando la seconda
edizione dei Canti popolari, appose
al poemetto una lunga nota, nella quale senza mettere in dubbio che una
tragedia domestica avesse macchiato di sangue il castello di Carini, opinò che
non un parricidio, ma che piuttosto si trattasse di un uxoricidio, che cioè la
vittima così dolcemente e gentilmente rappresentata nel poema dovesse essere
non la figlia, ma la moglie; non parendogli spiegabile il parricidio per un
fallo d’amore che poteva essere riparabile; e non conveniente a fanciulla il
titolo di “donna”; obbiezione quest’ultima che si era affacciata anche al De Gubertis....
Luigi Natoli: Un poemetto siciliano del XVI secolo. Estratto dagli Atti della Reale Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo serie III Vol. IX.
Fa parte di: La baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue.
Pagine 310 - Prezzo di copertina € 21,00
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