Quella era la prima
domenica di marzo; una domenica chiara e luminosa, alla quale i mandorli
fioriti davano la loro dolce fragranza.
Il signor don Vincenzo fin
dall’alba si trovava nella madre chiesa, dove supponeva che donna Caterina
sarebbe venuta ad ascoltar la santa messa, avendo in quella chiesa i La Grua
sepoltura gentilizia. Aveva già udito due o tre messe, circondato da una folla
di contadini neri e feroci, che tra le vesti mostravano l’impugnatura di un
coltellaccio o di una falcetta, e tra le mani avevano rosari e discipline. Egli
però era così preoccupato, era così sopraffatto dal suo pensiero, che prestava
poca attenzione alle sacre funzioni; e una volta, all’elevazione, una divota
scandalizzata di quel contegno da eretico, non seppe tenersi dall’avvertirgli
che era tempo di inginocchiarsi. Don Vincenzo aggrottò le ciglia, ma arrossì,
quale chi è scoperto mentre commette un fallo; si inginocchiò divotamente, ma
dimenticò poi di levarsi, e restò genuflesso finchè durò la messa.
Finalmente un bisbiglio
sommesso lo riscosse; guardò verso la porta; da una grande lettiga scendevano
donna Caterina, le sue sorelle donna Eleonora e donna Maria e donna Laura sua
madre. Entrarono in chiesa, seguite da Jacopo Saponara e da altri tre paggi.
Gli schiavi lettighieri rimasero fuori. Don Vincenzo, che stava presso la pila
dell’acqua benedetta, dimenticò allora ogni convenienza; voltò le spalle
all’altare maggiore, non vedendo nella chiesa altro Iddio che la soave
fanciulla; e col volto in fiamme, con cortese premura, tuffò le dita nella pila
dell’acqua benedetta, e inchinandosi, porse la mano prima a donna Laura, poi
alle ragazze, e all’ultimo, dopo aver rituffato le dita, a donna Caterina. Così
era sicuro che le dita delle altre non potevano cancellare la impressione soave
che la mano della fanciulla lasciava nella sua.
Elle, sorridendo, presero
l’acqua: solo donna Caterina non sorrise: bianca come un giglio, avvolta nel
suo mantello, stese e toccò appena la mano di don Vincenzo. egli trasalì, sentì
un fremito per tutta la persona; ella non parve che leggermente sorpresa di
trovare quel gentil cavaliere, e lo guardò curiosa.
Andarono a sedere nelle
loro sedie di cuoio, accanto all’altar maggiore; donna Caterina aveva un libro
di devozioni; aprendolo, domandò sottovoce alla signora donna Laura:
- Non è nostro cugino
Vernagallo quel cavaliere?
- Don Vincenzo – rispose
la signora baronessa.
Donna Caterina cercò nel
libro le preghiere; ma dopo letto il primo rigo si voltò per guardare il cugino
Vernagallo. Egli era rimasto in piedi, immobile, a canto alla pila dell’acqua
benedetta: il suo volto era diventato pallido, ma negli occhi suoi s’era
raccolta la intensa passione che lo divorava. Innanzi a quella fanciulla bianca
e serena come una statua, il suo piano rovinava; aveva contato su l’acqua
benedetta per accompagnare le signore e avere un pretesto di stare accanto a
donna Caterina e vagheggiarla a suo agio; adesso l’anima sua tremava e sentiva
mancarsi tutto il coraggio. La guardava da quel sito con un desiderio amaro,
con una angoscia piena di amore. Quando donna Caterina si voltò verso di lui,
quando vide quei grandi occhi turchini posarsi dolcemente sopra i suoi, egli
trasalì, sentì il sangue dargli un tuffo nel cuore e nella testa, e gli occhi
gli si annebbiarono...
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